Le forme artistiche si moltiplicano. All’infinito.
Un quadro non è più un quadro, un libro non è più un libro, una scultura men che meno…addirittura il manifesto poi! Esce dalla sua forma tipografica e diventa opera d’arte? una esagerazione?
Sembrerebbe proprio di no a ben vedere quanto il collezionismo d’arte abbia scoperto l’importanza (e il valore!) della documentazione cartacea creata, a suo tempo solo quale mero sostegno del linguaggio artistico.
Nessuna ricostruzione storica di un Artista o di un Movimento può essere compresa oggi senza una indagine circa il contesto dell’epoca e di cui il manifesto, la foto del vernissage, l’invito alla mostra è fedele testimone.
Due esempi illuminanti forse proprio perché antitetici quelli presentati da Ca’ di Fra’.
Il rigore stilistico di AG Fronzoni che in linea con la sua estetica minimalista e razionalista crede da subito nel manifesto che diventa di per sé anello di trasmissione di un nuovo umanesimo, il manifesto NASCE quindi come opera, e il manifesto che DIVENTA opera, suo malgrado, nell’indifferenza, attraverso il gioco, nell’elusione di qualsiasi significato “politico”, con la presunzione di spiegare attraverso l’immagine l’Artista o la sua negazione.
Boetti, Beuys, Agnetti, Prini, divenuti oggetti di desiderio, ciò nonostante.
Quella di Ca’ di Fra’ è una mostra in cui è difficile individuare gli alti e i bassi il gioco o il divenire “opera” ma forse il bello è tutto lì.